Archive for novembre, 2010

novembre 26th, 2010

IL BUON PREZZO DELLA GLORIA

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IL BUON PREZZO DELLA GLORIA
I mistici francescani del Siglo de oro

di Federico Mazzocchi

© Osservatore Romano, 25/11/2010

Ci sorprende talora l’imprevedibile fioritura che l’opera di un santo, così pienamente radicata nel suo vissuto, nella sua biografia umana, riesce ad avere al di là da quella, quasi riuscisse a mettere in moto una stupefacente azione sorgiva di verità, in cui egli stesso continua ad ardere, in piena vita. Il patrimonio di San Francesco è in questo senso uno dei più fertili ed inesausti, che seguita a crescere nella devozione e nelle opere del suo popolo; ma non solo. A riproporne uno dei suoi frutti più alti è ora l’uscita del volume Mistici Francescani – XVI secolo (Padova, Efr, 2010, euro 80, pagine 2432), il quarto della collana fondata dal frate minore Ernesto Caroli e diretta dal frate cappuccino Gianluigi Pasquale, che aveva negli anni tra il 1995 e il 1999 già visto l’uscita dei primi tre volumi, comprendenti rispettivamente i secoli XIII, XIV e XV.

Un’attesa di oltre un decennio motivata, e al contempo ripagata, dal minuzioso lavoro di traduzione integrale dei testi dei mistici, e soprattutto dall’aggiunta di un cospicuo apparato di note esplicative, contenente – per la prima volta in questa collana – tutti i rimandi ai testi biblici. Ma la particolarità di questo volume sta anche nella scelta di presentare, di tutto il panorama della mistica francescana, solo i mistici spagnoli, e di farlo proprio per quel siglo de oro che aveva dato i natali a santa Teresa di Avila, san Giovanni della Croce e sant’Ignazio di Loyola. Vedremo, allora, ricomporsi un più ampio scenario culturale, in cui la temperie francescana si inserisce con la sua piena autonomia, interagendo e incidendo sulla stessa spiritualità carmelitana: sempre nel senso di un patrimonio spirituale «unico e variegato», come nota Gaetano Chiappini nell’introduzione al volume, dove di ogni figura evidenzia il particolare punto di vista rispetto all’esperienza e alla trattazione.

I mistici presentati – tripartiti in principali, medi e minori – sono in tutto ventinove; di ognuno sono delineate la biografia e le opere, a cui segue un’antologia dei loro testi. Da Alonso de Madrid sino a Pasquale Babylón, si schiude allora al lettore quel cammino di comunione profonda tra l’anima dell’uomo e il Dio che unico ne sa placare le inquietudini. E non parliamo solo di testi come la Salita del monte Sion di Bernardino di Laredo, la Via Spiritus di Bernabé de Palma, o l’Itinerario dell’orazione di Francisco de Hevia, dove sin dal titolo si esplicita questa dimensione itinerante, e pellegrina, della devozione; è piuttosto questo l’orizzonte onnicomprensivo di una teologia che raggiunge il suo apice, anche dottrinale, solo in quanto vi «si insegna la via per il sommo Bene e passo dopo passo si costruisce una scala per raggiungere il frutto della felicità» (Pedro de Alcántara).

Ecco che l’amore di Dio attira e raduna in sé tutti i desideri e gli sforzi umani, lui che al contempo ne è il segreto motore, oltre che il palese obiettivo. E se nella Lotta spirituale tra Dio e l’anima di Juan de los Angeles, oltre che nella Conquista del regno di Dio, questo ardore è tale da credere in un amore «che lotta con Dio e opponendosi a lui a oltranza, e lo vince e lo fa prigioniero», non dobbiamo pensare che si tratti di un impeto lasciato a improvvise ed episodiche folgorazioni, o finanche al personale temperamento dei mistici. Viceversa, esso sorveglia costantemente ed esclusivamente la meditazione di un dettato che, persino nei suoi momenti più pacati, è sempre percorso – sulla scorta, certo, dell’alter Christus Francesco – da una volontà di immedesimazione nell’unica Fonte sorgiva di pace.

Così, Francisco de Osuna scrive un Abbecedario spirituale, ma lo incentra esclusivamente su quel punto più alto dell’amore divino che è il mistero della Passione; e fuga ogni ombra di enciclopedismo o schematismo con l’affermare che «l’umiltà è fondamento e principio di tutto, senza la quale non si impara nessuna dottrina».

Umiltà e forza, conoscenza e azione, movimento e attesa, sono allora interamente al servizio di una relazione con l’Amato, unica meta di infiniti cammini, ansie, premure, speranze; tutte, in ultima analisi, fondate sulla figliolanza di ciascuno, segno costitutivo della relazione col Padre. Con queste stupefacenti parole, Diego de Estella ne riassume il senso: «Tutti ti possono amare, Signore […]. Poiché vuoi, o clementissimo Signore, la gloria per tutti, allora le hai dato un prezzo che tutti possono pagare».

Vi è allora, sì, radunato sotto questa grande unità inclusiva, lo spazio per le inesauribili sfaccettature dell’unico Amore, e soprattutto per le cangianti forme in cui via via lo nobilitano i mistici. Tra trattati, sermoni, dialoghi, manuali, meditazioni, libri di esercizio spirituale, trova spazio persino la poesia: dal Canzoniere di Ambrosio de Montesino, alle opere del poeta-teologo Inigo de Mendoza o di Arcángel Alacrón de Tordesillas, a riconfermare ancora una volta, saldata in quella peculiarissima unione tra la temperie francescana e l’anima spagnola, il solido fondamento lirico di una mistica che si configura come canto, lode amorosa allo Sposo.

Tra le infinite pieghe di questa «miniera di spiritualità», come la definisce Gianluigi Pasquale nella sua prefazione, anche per il lettore di oggi è allora lecito trovare le sue intime rispondenze, tracciare i suoi personali percorsi. Ma quali che siano, ognuno di essi sarà sorvegliato dal comandamento universale di uno dei tesori rari di questo volume, il Breve trattato sulla pace dell’anima di Juan de Bonilla: «Voi lo dovete sapere: Dio vi ha dato un cuore meravigliosamente nobile e creato per amare unicamente lui e per fondersi in lui. Con questo amore, voi farete tutto quanto voi vorrete».

novembre 26th, 2010

Debutto di Saviano e Fazio. Il teatro televisione che sconfina nel reading

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Debutto di Saviano e Fazio. Il teatro televisione che sconfina nel reading
di Daniele Bellasio,  © Il Sole 24 Ore, 9/11/10

Se Giorgio Gaber ha creato il teatro canzone, Roberto Saviano e Fabio Fazio portano in scena il teatro televisione, sconfinando nel “reading”, momento di letture in pubblico, fenomeno troppo di moda per stare simpatico a prima vista, ma capace di attirare appassionati e passioni. Primo ingrediente: creare l’evento.
Quello c’è tutto, con la naturale e polemica attesa per il gran raccontatore, Saviano, e il miglior conduttore per far raccontare, Fazio. Secondo ingrediente: un clichè letterario. Qui la scelta cade sugli elenchi cari a Umberto Eco o sul mozartiano “il catalogo è questo”. Serve poi un dilemma, del tipo “essere o non essere”, e in questo caso, fin dallo spot che mostra le due facce della stessa lavagna, la domanda esistenziale è: vado via o resto qui, in questa Italia sofferente? Il teatro televisione funziona se il regista è in scena, se il conduttore sa scomparire per lasciare emergere i personaggi e le persone senza far perdere il filo della narrazione.
Questo è Fazio. Poi ci vogliono attori capaci di sublimare le maschere, per esempio Roberto Benigni. Per “un’orazione civile”, infine, serve uno scrittore con una storia di spessore da raccontare e una trama pericolosa vissuta in prima persona. Questo è Saviano. Se uno è capace di raccontare in un libro, è capace di farlo tra amici, è capace di farlo in prima serata. C’è un po’ di Celentano, un po’ di Dario Fo e un po’ di Beckett, tanto di Saviano e di Fazio. Tutti sembrano aspettare qualcosa o qualcuno e nell’attesa leggono elenchi.

novembre 26th, 2010

Fortini, poeta a trazione anteriore

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FORTINI, POETA A TRAZIONE ANTERIORE
L’intellettuale di sinistra scrisse (senza firmarlo) il testo di un film della Fiat per il lancio della 128

di ODDONE CAMERANA, © La Stampa, 16/11/10

Torniamo indietro di una quarantina di anni e siamo nel 1969, anno importante per la Fiat, Torino e i suoi stabilimenti di produzione, perché veniva lanciata la 128, nuova berlina 1100, categoria centrale della gamma Fiat. Responsabile dell’ufficio stampa e delle attività di pubbliche relazioni era Maria Rubiolo che aveva sostituito Gino Pestelli, scomparso negli anni precedenti. Il settore automobilistico non era ancora costituito come una Spa, ma lo sarebbe diventato da lì a poco, un preludio all’autonomia che avrebbe raggiunto quarant’anni dopo, come succederà nel 2011.

A quel tempo i costruttori automobilistici non facevano ancora, almeno in Italia, pubblicità televisiva. Ciononostante la Fiat aveva un’intensa attività cinematografica e il Cinefiat era una sigla conosciuta nell’ambiente professionale.

Sia come sia, fu deciso che tra le attività di lancio del nuovo prodotto vi fosse anche un documentario cinematografico. Tra i vari collaboratori esterni del Cinefiat vi era Valentino Orsini, valente regista che venne scelto per l’incarico. Un incarico delicato, perché si trattava di documentare la nascita di un prodotto mettendone in evidenza le qualità inedite prima che queste fossero riconosciute dal pubblico. Un lavoro di documentazione, dunque, e non uno spot pubblicitario. Compito difficile che necessitava di un buon soggetto e di un buon testo di supporto. Di qui la scelta da parte di Orsini di una personalità della cultura e della comunicazione come Franco Fortini, collaboratore dell’ufficio pubblicità della Olivetti.

Sono passati quarant’anni da questo episodio e oggi nel ricordarlo in occasione della rivisitazione dei lavori di Fortini si torna a parlare del fatto che quest’ultimo non compare tra gli autori del documentario sulla 128, come se questa assenza fosse dovuta a una sua volontà politica. Il fatto è che, in quanto collaboratore della Olivetti, Fortini non se la sentiva di apparire come autore in un film commissionato da un’altra industria dell’importanza della Fiat, quasi si trattasse di un conflitto di interessi. Quanto alle ragioni politiche, non contavano e non avevano presa. Era noto, infatti, che il Cinefiat aveva una sua Rive gauche, alla quale approdavano registi e autori militanti di sinistra come era il caso di E. Lorenzini, A. Giannarelli, M. Mida, senza contare lo stesso Valentino Orsini autore de I dannati della terra. Quanto ai rapporti tra Fiat e Olivetti, erano ottimi, basti pensare agli alti dirigenti che dalla Olivetti transitarono in Fiat o in Ifi come Gianluigi Gabetti, Nicola Tufarelli, Paolo Volponi e Riccardo Felicioli.

Ma veniamo al titolo del documentario in questione: Progetto n° 128, scelta dovuta a ragioni tecniche e di mercato. Si voleva sottolineare con un prodotto popolare la nuova strategia denominativa, iniziata con la 131, dei numeri di progetto, strategia sostitutiva delle cilindrate (600, 500, 850, 1500, 2300) e seguita poi con la 127, la 130, la 132, e rivoluzionata successivamente dai nomi propri (Panda, Ritmo, Thema, Croma) o dal nome/numero per eccellenza: Uno. E si voleva sottolineare la scelta tecnica della trazione anteriore, allora inedita. Una vittoria, questa, dell’ingegner Giacosa, che si era giocata la primizia insieme col progettista della Mini, Issigonis, avendola Giacosa sperimentata per primo sul banco di prova dell’Autobianchi Primula e applicata quindi sulla 128, sulla 127, strada seguita poi dalla Fiesta e dalla Golf.

Venendo al lavoro di Fortini, il bello scritto che viene oggi pubblicato in questa pagina può suggerire a qualcuno di porsi la seguente domanda: ma chi li vedeva i documentari? Domanda alla quale si può rispondere due volte. La prima è che i documentari venivano prodotti per essere visti in primo luogo dagli addetti ai lavori: agenti, venditori, concessionari, meccanici, fornitori, finanza, stampa, il vasto mondo composto dalle decine di migliaia di persone che ruotano attorno all’automobile. La seconda risposta è contenuta nell’aforisma per cui il documentario sta al cinema come la saggistica sta alla fiction. Ed è qui che risalta il pregio del testo di Fortini, esempio di saggistica cinematografica. I testi di Fortini sono un esempio di scrittura ora descrittiva, ora evocativa, sempre sapiente, qua e là ammonitoria e profetica, incalzante, una scrittura che riproduce l’esattezza delle inimitabili pagine dei manuali di uso e manutenzione olivettiani, una scrittura ritmata, ricca di contrasti, di colori e con una andatura che mima il montaggio dei pezzi meccanici in linea che scorrono nelle immagini. Si provino a rileggere certe pagine, mettendole a confronto con i testi pubblicitari dell’epoca, e si vedrà la differenza tra i due.

Il testo di Fortini non manca di concludersi con un augurio al nuovo prodotto. Qualche anno dopo venduta negli Stati Uniti, la 128 raggiunse, insieme con la 131, il traguardo delle 100.000 unità vendute in un anno e lo spot pubblicitario che aveva accompagnato questo risultato faceva vedere Enzo Ferrari che scendeva le scale e saliva su una 128 parcheggiata mentre una voce fuori campo diceva: «Mr. Ferrari drives a Fiat».

novembre 26th, 2010

“Problemi di libertà” di Hans Jonas

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“Problemi di libertà” di Hans Jonas [Aragno, 468 pp., 35 eur]

© – FOGLIO QUOTIDIANO, 22/11/10

Il tedesco Hans Jonas, scomparso novantenne nel 1993, è stato uno dei maggiori pensatori del XX secolo. Allievo di Husserl, Bultmann e Heidegger, egli concentrò la sua attenzione dapprima sulla questione della gnosi e, successivamente, emigrato negli Stati Uniti all’indomani della Seconda guerra mondiale, si interessò di filosofia della natura e di biologia. Nella terza fase della sua speculazione, il pensatore germanico spostò decisamente il baricentro delle proprie ricerche verso le questioni etiche: nel 1979 uscì il suo celebre lavoro “Il principio responsabilità”, nel quale vengono denunciati con forza i gravi rischi connessi con l’affermarsi della civiltà della tecnica. Jonas è convinto che il trionfo dell’uomo produttore (faber) sull’uomo conoscitore (sapiens) condurrà l’umanità verso un esito nichilistico: dinanzi a questa allarmante prospettiva, è necessario che si affermi una nuova morale, capace di salvare l’uomo dall’autodistruzione, una morale della responsabilità che insegni a ciascuno a sentirsi custode e difensore dei propri simili, in particolare dei posteri che erediteranno il mondo e la società che saremo stati in grado di costruire. Nel contesto di queste riflessioni si situano pure quelle su due temi di straordinaria rilevanza che, fin dall’antichità, hanno affascinato e inquietato i filosofi: quello del male e quello della libertà. Jonas li affronterà tutti e due, mettendoli in relazione con la tragedia dell’Olocausto e, il secondo in particolare, con alcuni personaggi e momenti della storia del pensiero occidentale. Lo scritto “Problemi di libertà”, finora inedito in Italia, e oggi a disposizione degli studiosi grazie all’impegno di Emidio Spinelli e Angela Michelis, appartiene a quella fase della speculazione jonasiana e raccoglie i testi di alcune lezioni tenute da Jonas nel 1970 alla “New School for Social Research” di New York. La prima sezione del libro è dedicata ad approfondire l’idea di libertà elaborata dal pensiero greco classico, con una speciale attenzione per il contributo proprio dello stoicismo; vi è poi una breve discussione sulle novità apportate dall’ebraismo, a cui segue la terza parte dell’opera, imperniata sull’analisi della concezione cristiana della libertà, quella elaborata da san Paolo e, soprattutto, da sant’Agostino. Come è noto, la dottrina agostiniana della libertà si venne precisando in occasione della polemica che il Vescovo di Ippona ebbe con il monaco britannico Pelagio, il quale diffondeva con grande successo la convinzione che l’uomo potesse salvarsi con le proprie forze, grazie a un costante e severo impegno morale. Agostino comprese che se le tesi pelagiane avessero trionfato, il messaggio cristiano sarebbe stato svuotato del suo contenuto salvifico: il cristianesimo infatti è basato sulla certezza che sia Dio a salvare l’uomo, il quale, senza l’aiuto divino (la grazia) sarebbe irrimediabilmente condannato al fallimento. D’altro canto, per il filosofo di Tagaste è evidente che se accreditiamo l’idea che l’uomo possa salvarsi con le proprie forze, dobbiamo ammettere la sostanziale inutilità della redenzione operata da Cristo mediante la sua incarnazione, morte e resurrezione. Ma se è Dio che salva, decidendo il destino di ciascun uomo (predestinazione), dove va a finire la libertà? Alcune tra le più acute riflessioni di Jonas sono dedicate proprio a delucidare questo punto nevralgico, e non v’è dubbio che il pensatore tedesco preferisca schierarsi con Pelagio: ai suoi occhi, nell’agostinismo, che lascia l’iniziativa nelle mani di Dio, è insito il rischio di deresponsabilizzare l’uomo, un rischio che per l’autore de “Il principio responsabilità” non era accettabile.